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sabato 13 febbraio 2010

(1958) Peppino di Capri - Ci sono cinque signori

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[…] siamo alla fine della stagione e a metà della serata, quando il direttore del locale comunica a Peppino e i suoi boys che ci sono cinque signori che vogliono parlargli. I cinque sono in giacca e cravatta, cosa davvero strana per quel periodo, per quel locale (Rancio Fellone) e per Ischia, e in verità all’inizio vengono scambiati per funzionari del fisco e l’esibizione di quella sera, da quel momento, subisce un netto calo, anche perché l’aspetto amministrativo del loro lavoro era, come dire, un po’ trascurato e questo faceva stare sempre tutti un poco in ansia. […]

“Quando ci dicono, quindi, che sono della casa discografica Carisch e ci invitano, per un’audizione-registrazione, la settimana dopo a Milano con dieci brani pronti e i nostri strumenti, restiamo di sasso e molto lusingati, anzi, a dirla tutta, saltiamo quasi dalla gioia e nessuno di noi ha la prontezza di spirito e il coraggio di chiedere i soldi per il trasporto delle attrezzature e per biglietti del treno o dell’aereo, anche perché i nostri guadagni, all’epoca, bastavano appena per le prime necessità e perciò, dopo un brevissimo consulto, proprio in pieno stile Totò e Peppino, da veri emigranti napoletani a Milano, carichiamo all’inverosimile la 1100 Fiat del sassofonista Lello Arzilli e partiamo alla volta di Milano. Allora non c’era ancora l’autostrada e vuoi per il carico, vuoi per defaillance dell’auto, impieghiamo una settimana, circa per arrivare agli studi Carisch, cosa che a raccontarla oggi sembra una leggenda metropolitana, ma, posso garantirlo, è stata un’istruttiva gita attraverso il nostro stivale del quale, all’epoca, imparammo l’ubicazione di tutte le fontanelle pubbliche, causa problemi perenni al raffreddamento del radiatore. Carichi di strumenti e di complessi meridional-paesani, arriviamo a Milano, zona Fiera, come ci avevano spiegato, in via Monviso: noi ci aspettavamo degli studios modello Usa, come li vedevamo sui rotocalchi specializzati dell’epoca, ma quando entriamo in un cortiletto, l’immaginazione impatta con due simpatici coetanei dall’accento milanese che ci invitano, cordialmente, a entrare nella “sala” di registrazione che, in realtà, è un capannone con una tenda di iuta nel mezzo tra regia e il resto dello studio, che avrebbe dovuto spezzare il suono per non creare inneschi non voluti con il registratore; al centro del locale un enorme, incombente microfono, sigillato, ci avvertono subito, intoccabile, una specie di totem: il sigillo, in effetti, era stato imposto dalla casa madre della Carisch, la EMI, per tutelare gli addetti alle incisioni da possibili aumenti indesiderati di volume che potevano portare alla sordità come si era già verificato; la consegna inglese, tuttavia, era stata presa fin troppo alla lettera dai milanesi e quando cominciamo i primi accordi non riusciamo quasi a sentirci. La parziale delusione, rispetto all’entusiasmo che ci aveva sospinto fin lì meglio del motore della 1100 di Arzilli, non ci paralizza, per fortuna, e napoletani nell’animo, ma milanesi nel lavoro, ci diamo dentro senza sosta. […]
In due giorni incidiamo dieci pezzi, pagati 50 mila lire ognuno e, poiché nemmeno lontanamente potevamo sospettare il successo che poi avrebbero avuto, ce ne andiamo contenti, ci sembrava una cifra adeguata per dei debuttanti come noi, che vengono congedati col classico e sibillino “Vi faremo sapere”, […] ”
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estratto da "Peppino di Capri. Il Sognatore" di Geo Nocchetti - Rai-Eri, 2004
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